"IL MAGICO NATALE DEL GIUDICE" E ALTRE STORIE
Quattordici racconti che, nella ovvia diversità delle trame, trovano un comune filo rosso nella straordinaria forza creativa dell'autore, abile inventore di storie brevi, intense e folli. Una scrittura quella di Borgatti semplice e chiara che utilizza la grammatica dei sentimenti e delle emozioni parlando di volta in volta al cuore, al cervello e alla pancia del lettore. Se c'è un pregio in assoluto nei racconti di Borgatti è certamente quello di saper mescolare il reale con il surreale, la finzione con la verità, il possibile con l'impossibile, l'incredibile con il probabile e per questo anche ciò che è assolutamente fantasioso è in grado di appassionare come, quanto e persino di più di ciò che trova spunto in fatti reali. Quando si arriva alla fine di ogni racconto il lettore di sicuro avrà sorriso, pensato, sospirato ... certamente avrà gustato ogni frase, ogni parola e mai sarà rimasto indifferente.
Lo stile narrativo colto ed elegante, e scevro di fronzoli letterari, cattura l'attenzione del lettore che percepisce l'autore proprio attraverso i personaggi che popolano i suoi racconti. È un po' folle, a volte triste, ironico e persino comico, ma sempre profondamente onesto e sincero anche quando storie e personaggi attraversano l’irreale, l'impossibile e il poeticamente surreale.
Accomuna le storie l’incipit, che fa si che bastino le prime dieci righe perché il lettore diventi ansioso di conoscere il seguito di queste, che definirei, “storie avvincenti”.
Il primo racconto, che dà il titolo al libro “Il Magico Natale del Giudice”, è il classico natalizio, quello col quale Borgatti inizia ogni suo volume e che lo può far diventare un indovinato libro strenna: un originale ed economico oggetto da regalo. Il secondo, il quarto, l’ottavo e altri sono saggi di intelligente umorismo, storie difficilmente trasportabili su poche righe. Poi ci sono i racconti tristi: sempre originali e mai “piagnoni”; essi affrontano la morte e i peggiori drammi, in maniera velata, quasi in punta di piedi, come pochi scrittori sanno fare. L’ultimo è commovente “Oggi avrebbe compiuto gli Anni” è una dolce poesia, la cui protagonista è una persona non più tra noi.
Scrivevo della facilità con la quale passa dal reale al surreale: si chiama Alessandro, il protagonista, appassionato d’arte al pari della moglie, di “Un Espresso al Cafè Guerbois a Paris”.
È la storia di una vita, pur funestata da un gravissimo lutto, trascorsa tra il lavoro e tanti viaggi a visitare mostre e musei europei, prima solo, poi con la moglie e poi di nuovo solo. I due restavano attoniti per ore, innanzi a certi dipinti!
Specie degli impressionisti francesi, per i quali lui nutre una venerazione, quasi un culto, al punto di sapere quasi a memoria la biografia di ciascuno, di riconoscerne il viso, l’aspetto completo, il carattere e l’uomo tutto, nella sua genialità.
Da una settimana, era tornato da un viaggio a Parigi; da solo: sua moglie se n’era andata da pochi anni. Quel giorno, Alessandro non si sentiva bene, se n’era accorto, appena alzatosi, di non essere in forma. A mezzogiorno, la domestica gli ha preparato un brodo, lui neppure lo ha terminato, si è seduto innanzi al televisore e si è addormentato. Svegliatosi dopo un’ora: «Due passi: forse mi fanno bene.» sentenzia tra sé, ma anche fuori … «Chissà che un cafè mi rimetta in forma.», entra in un bar e quello, man mano, si trasforma in un locale parigino con i camerieri vestiti come ai tempi della Belle Époque, l’arredamento liberty, e tutto come allora.
Ai tavoli siedono van Gogh, Matisse, Degas, Manet, Renoir con la sua modella, Gauguin, Cézanne, Monet, Matisse, Sisley, e Toulouse Lautrec assieme a tre signore scollacciate.
Velato di poesia, è un incontro impossibile, senza tempo, che vede questi geni immortali trattare il nostro protagonista come un amico, come uno di loro.
Il Conte di Tolosa gli fa segno di accomodarsi al suo tavolo al quale siede con due Signore scolacciate, ma lui: «Merci.» fa, declinando l’invito. E se ne va con coloro che, tornati sulla terra, gli avevano portato quel dono: un pacchetto avvolto in carta dorata e legato con un nastro di raso rosso di cui, il capo più lungo è fermato con una etichetta in rilievo con la scritta “Paris“, che sormonta la torre Eiffel. Un pacchetto che si è svolto da solo, mentre pure il nastro si snodava da sé. Tutto, durante quell’incontro impossibile, che, da sempre, Alessandro aveva sognato.
Se ne sono andati tutti e tre, tra l’azzurro del cielo, tenendosi per mano: lui, la moglie e il figlioletto che, giovanissimo, il destino si era portato via. Se ne sono andati, per scomparire, per sempre, dalla vista del mondo.
Mi ha invece fatto sorridere “L’Amico del Fantasma dell’Opera”, un saggio di intelligente umorismo, perché Borgatti non è tipo da satira, mai entra nella politica, salvo sorridere della stessa, e senza porsi mai da una parte o dall’altra. Lui ama l’umorismo puro che non dice, «Guarda quelli quanto sono buffi!», ma «Guarda noi quanto siamo buffi!».
È la storia di un tale affascinato dai misteri dell’occulto: e in particolare dai fantasmi. E, uno di loro, partito dalla Scozia, un giorno lo viene a trovare. Suona al citofono, si annuncia e lui, ben lieto, lo fa salire. E iniziano le gag, le trovate, le situazioni paradossali, a cominciare dall’incontro tra i due, di cui uno, avendo lasciato il lenzuolo in lavanderia, è completamente invisibile. Stanno assieme due giorni, si raccontano tante cose, entrando nel tecnico della fantasmologia, termine inesistente nel dizionario, ma passiamo al finale, che riporto come lo ha scritto Borgatti: «Mi tolga una curiosità: perché, con tutte le persone che ci sono nel mondo, lei è partito dalla Scozia ed è venuto a trovare proprio me?»,
«Che vuole che le dica,» mi ha risposto «lei è l’unico, sulla terra, che crede ancora ai fantasmi!».
Eleonora Lo Curto
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